Ci siamo. Quei 7 giorni mitici, leggendari, un po’ mistici e un po’ tragicomici. Gli ultimi 7 giorni di scuola.
Un periodo che ogni docente riconosce al primo mal di testa mattutino e al secondo “prof, ma posso ancora recuperare?”.
Se non l’hai mai vissuto, immagina il set di un film apocalittico girato dentro un ufficio postale, con le comparse che corrono impazzite stringendo in mano faldoni, moduli, penne rosse e fotocopie storte. Mettici anche qualche adolescente improvvisamente pentito e un paio di stampanti che fanno sciopero bianco. Ecco, ci sei quasi.
Gli studenti in fase “miracolo”
I ragazzi che non hanno mai preso un appunto, che a gennaio pensavano che "media" fosse riferito alla porzione di patatine che hanno mangiato mentre giocavano a Fortnite (invece di studiare), ora si aggirano per i corridoi con gli occhi lucidi e lo sguardo da “ti prego, salvami".
C’è quello che propone una tesina di 300 pagine in 12 ore. Quello che ti porta cioccolatini, sorrisi e la promessa che “l’anno prossimo studio, prof, giuro”. E poi c’è l’atleta olimpionico dell’ultima interrogazione, quello che si lancia su ogni occasione come se fosse la finale dei 100 metri: “Posso rispondere ora? Anche senza aver studiato, magari improvviso!”.
La burocrazia: quella vera, quella cattiva
Nel frattempo, il docente medio viene travolto da un’ondata di adempimenti, moduli, verbali, relazioni finali, check list, firme e controfirme, come se stessimo disinnescando una bomba e non chiudendo un registro elettronico.
Arrivano email con oggetto “URGENTE” (spoiler: in genere è urgente solo per chi le ha scritte), circolari su circolari che si contraddicono a distanza di 36 ore, tabelle da compilare con dati che nessuno sa dove si trovino e il famigerato “scrutinio online” che funziona solo se c'è la luna è piena e hai sacrificato tre cartucce d’inchiostro.
Le riunioni
Quasi ogni giorno c’è una riunione. A volte due. Alcune sono “brevi”, altre “informative” ma tutte hanno una cosa in comune: finiscono spesso dopo cena.
Si parla tanto, si decide poco, si torna a casa con più dubbi di prima e con un nuovo documento da compilare entro ieri.
Il tutto avviene mentre nella sala professori si fanno i conti con il dramma della macchina del caffè rotta. Perché se c’è una cosa che manda davvero in crisi un docente a fine maggio, non è la pagella da firmare...è il caffè che non esce!
L’anima del docente
In tutto questo, i professori mantengono (più o meno) la calma. Perché hanno sviluppato una sorta di superpotere: la capacità di sorridere mentre dentro urlano. Si chiama professionalità...ma anche un po’ rassegnazione.
Li riconosci: sono quelli che parlano da soli davanti al registro elettronico, che scrivono voti con la mano tremante, e che hanno gli incubi in cui rincorrono PEC e crediti formativi.
Il finale
Poi, quando pensi che sia finita, arriva lui: il collegio docenti finale.
Un evento tanto atteso quanto temuto. Dura quanto un matrimonio indiano, ha la tensione di una riunione di condominio, e la produttività di una chat di gruppo alle 2 di notte. Ma guai a mancare, perché “è obbligatorio”. Come il silenzio quando viene chiesto “Chi è contrario? Chi si astiene?”.
Eppure, nonostante tutto, si arriva alla fine. Un po’ stanchi, un po’ provati, ma sempre con quella scintilla negli occhi che solo chi fa questo lavoro con il cuore può capire. E magari, tra un documento da caricare e una programmazione da chiudere, scappa pure una risata. Amara, ma vera.
A tutti i docenti: resistete.
L’estate è vicina. Anzi, tecnicamente no...
Perché c’è la maturità, il PNRR, i corsi, i recuperi, gli esami integrativi, e forse anche un consiglio straordinario.
Ma il pensiero dell’estate…quello, almeno, è libero.
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